La Legge 104 regola l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone affette da gravi patologie di disabilità, la legge riconosce benefici ed agevolazioni al disabile ma anche a un familiare che offre lui assistenza e che ha un regolare contratto di lavoro, tra le varie agevolazione che la legge prevede c’è anche il trasferimento che il lavoratore dipendente che accudisce un familiare disabile può avanzare, nel corso degli anni ci sono stati casi in cui l’azienda per straordinarie esigenze produttive/lavorative non concedeva il trasferimento al lavoratore che ne faceva richiesta.
Nel 2016 proprio su questo tema c’è stata una sentenza della cassazione che ha stabilito che il trasferimento in nessun modo non può essere rifiutato, il caso in particolare aveva riguardato un lavoratore dipendente costretto ad andare in aspettativa per stare accanto al parente portatore di handicap, la cassazione in questo caso aveva anche stabilito un risarcimento dei danni in favore del lavoratore proprio per il mancato accoglimento della domanda: risarcimento da quantificare dalla data della richiesta del trasferimento al suo rientro dall’aspettativa. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza.
Il diritto a scegliere la sede lavorativa
Il lavoratore che beneficia della legge 104 del 1992 può scegliere la sede di lavoro più vicina al luogo di residenza del famigliare disabile, chiedendo di essere/non essere trasferito (a seconda ovviamente del caso) da un luogo a un altro ove l’azienda ha le proprie unità produttive.
Ciononostante ci sono alcuni casi in cui il trasferimento può essere respinto, la legge infatti stabilisce che solo laddove l’azienda motivi (e dimostri) il diniego con esigenze produttive straordinarie, il lavoratore non potrà vedere riconosciuta la propria richiesta.
Viceversa, se l’azienda non ha possibilità di provare le straordinarie ragioni produttive alla base del “no”, oppure se tali ragioni non sono straordinarie, allora il lavoratore può pretendere che la sua richiesta sia rispettata. Con le buone o con “le cattive” (ossia tramite il giudice).
Nel caso di specie, il lavoratore ricorrente era peraltro riuscito a dimostrare che, nello stesso periodo della sua richiesta di trasferimento, la stessa società aveva provveduto a molteplici trasferimenti proprio presso la sede richiesta dall’avente diritto. Quel diniego non aveva quindi alcuna ragione di carattere tecnico che potesse in alcun modo supportarlo.