Da tempo e da più parti è emersa la necessità di innovare la scuola, e con essa le metodologie didattiche utilizzate per formare gli studenti di scuola primaria e secondaria. Anche se i tentativi di svecchiare la formazione non mancano, si può fare ancora molto per affrontare in modo credibile un cambio generazionale che rischia di trasformarsi in frattura tra docenti e giovani.
Prendiamo le nuove tecnologie, ad esempio: esse hanno un ruolo ormai enorme nel determinare e coordinare ampie porzioni della vita quotidiana di tutti noi. Questo assunto è ancora più valido per le generazioni nate dopo il 1980, dai Nativi Digitali in poi: web e social network sono ormai il perno cibernetico attorno a cui ruota una serie di attività che rientrano a pieno titolo nella cosiddetta “formazione parallela” delle generazioni più giovani.
Generazioni che, viceversa, una volta tra i banchi di scuola, trovano sempre meno interesse in programmi didattici obsoleti, in una metodologia che non tiene conto dell’innovazione tecnologica e culturale innestata nel tessuto sociale dai nuovi mezzi di comunicazione, in un rapporto con i docenti che spesso non soddisfa perché vissuto come lontano e incapace di portare valore, scambio, crescita reciproca.
Per questo e altri motivi, ci troviamo di fronte a una situazione a dir poco complessa: se da un lato le generazioni più giovani dimostrano un potenziale enorme di competenze comunicative e utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici, dall’altro non ricevono gli input corretti per potersi dire a pieno titolo cittadini di una società in costante cambiamento, rischiando così di diventare fruitori passivi di contenuti prodotti altrove.
Quanto alle tecnologie, la loro introduzione nei programmi deve essere operata partendo dalla constatazione che si tratta di strumenti per facilitare l’apprendimento, e non tanto una soluzione univoca alla perdita di vivacità di metodologie didattiche consolidate nei decenni e tutt’altro che innovative. Nell’introduzione di nuove modalità didattiche in classe, l’obiettivo di docenti e istituzioni scolastiche deve in ogni caso rimanere la costruzione di competenze, la valorizzazione del pensiero critico e la messa a sistema delle capacità di team work.
Il tutto partendo dalla consapevolezza dei risultati ottenuti finora da quei metodi di apprendimento e lavoro che hanno dimostrato di funzionare egregiamente. Vediamo assieme tre percorsi possibili: utilizzare lo storytelling nella didattica, sfruttare la didattica laboratoriale, utilizzare il brainstorming in classe.
Storytelling a scuola: la narrazione come fonte di creatività
Introdurre lo storytelling a scuola è fondamentale per consentire agli studenti di sviluppare capacità creative che altrimenti apprenderebbero con difficoltà, oltre che per trasformare l’apprendimento e valorizzarlo alla luce di un metodo narrativo che prevede la costruzione di storie attorno ai concetti illustrati dai programmi ministeriali. In particolare, nelle classi in cui è stato introdotto il digital storytelling – quella particolare branca dello storytelling che utilizza le nuove tecnologie per realizzare storie attraverso supporti digitali come siti web, blog, infografiche, Pdf interattivi, brevi video e reportage fotografici – si sono notati indiscutibili benefici.
Si è visto infatti che il metodo narrativo permette di soddisfare gli studenti e di offrire loro modelli per strutturare meglio il sapere e, quindi, comprenderlo. Non solo: si è visto che lo storytelling nella scuola primaria e secondaria permette di avvicinarsi alla tecnologia digitale con consapevolezza, promuovendone un uso equilibrato e non la solita fruizione passiva. Infine, costruire narrazioni coerenti e strutturate su parti significative del programma didattico fa sì che gli studenti apprendano con più facilità.
Didattica laboratoriale: in aula per fare progetti
Un altro modo per acquisire competenze utili e conoscenze spendibili è la didattica laboratoriale. Un concetto, questo, che ha assunto nuova forza dopo le recenti proposte di introdurre in aula la programmazione, il coding e altri processi di apprendimento e scoperta mediati dalle nuove tecnologie. Certo, forse la società futura non sarà composta esclusivamente da programmatori, maker o fondatori di startup innovative: eppure è innegabile la necessità di superare già oggi modelli di apprendimento verticali ampiamente superati da una società sempre più simile a una rete di conoscenze che a una piramide di ruoli definiti.
Non solo: cercare una crescita armonica dei propri studenti e prepararli a un mondo liquido e privo di confini significa anche abituarli a un atteggiamento proattivo che poggia sulla capacità critica di ricercare nuove soluzioni. Abilità, questa, che non può certo essere sviluppata grazie al modello tradizionale di studio e apprendimento, ma che deve nascere da uno sforzo congiunto di docenti e istituzioni nell’incoraggiare protagonismo e voglia di intraprendere percorsi multidisciplinari.
Brainstorming a scuola per andare a caccia di idee
Teorizzata per la prima volta negli anni Trenta da Alex Faickney Osborn, la “tempesta di cervelli” indica un processo collegiale che vede un gruppo impegnato a prendere decisioni rispetto a un tema dato o a un problema da risolvere. Il brainstorming è utilizzato soprattutto nel campo della comunicazione pubblicitaria, e le sue caratteristiche sono note: i partecipanti a una sessione creativa devono potersi esprimere in modo libero e istintivo, suggerendo ipotesi e soluzioni rispetto alla questione da affrontare.
Per questo motivo – proprio per garantire la massima efficacia del brainstorming – è vietata ogni forma di critica alle idee degli altri. Bisogna al contrario che tutti i partecipanti accettino tranquillamente tutte le proposte, proprio perché in un primo momento il brainstorming pone l’accento sull’aspetto quantitativo. Più idee si propongono, più la tempesta di cervelli funziona. Solo in un secondo momento, una volta raccolte tutte le ipotesi, le stesse verranno vagliate sul piano della qualità, così da capire se sono praticabili o meno.
Il brainstorming è adatto a tutte le età. Può (e forse deve) essere introdotto in tutti i momenti educativi o formativi che richiedono una partecipazione collegiale e creativa da parte degli studenti, chiamati a lavorare assieme per gestire, anche in modo non strutturato, la risposta a temi complessi. Il grande vantaggio del brainstorming a scuola, infatti, è incoraggiare la spontaneità e, al contempo, grazie alla figura di un moderatore esperto che coordina in modo molto sottile il gruppo di lavoro, trasformare la scintilla iniziale in un processo valutativo e organizzativo che mette a sistema indole e competenze dei singoli partecipanti.
Molto probabilmente introdurre il brainstorming a scuola è il metodo più convincente per agevolare la partecipazione degli studenti, ricavare idee rispetto a un tema dato e progettare la relativa soluzione.