Disoccupazione e Istat un binomio indissolubile, fateci caso quando si parla dei dati sulla disoccupazione o sull’occupazione vengono sempre citati i le statistiche fornite dal famoso Istituto Istat che in questo ambito è diventata come una bibbia, come il vangelo, gli ultimi dati forniti parlano di una disoccupazione giovanile che tocca, e a volte supera, il 36%, numeri che ad un’analisi superficiale creano scalpore, creano sconforto soprattutto nei giovani che si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro.
Ma siamo davvero sicuri della bontà dei dati che ci propina l’Istat? Vi siete mai chiesto in che modo vengono elaborati questi dati e quali sono i campioni che vengono presi in esami per determinato il tasso di disoccupazione giovanile?
Bhe, noi lo abbiamo e ciò che ne è venuto fuori è un quadro statistico al quanto falsato, dati che sono estrapolati da campioni statistici assolutamente errati e che di conseguenza fanno risultare numeri completamente sballati, ma andiamo per grado e vediamo in primis per l’Istat cosa sono le persone Occupate.
Spulciando nel glossario pubblico sul loro stesso portale è possibile leggere la seguente definizione:
Occupata è la persona di 15 anni e più che all’indagine sulle forze di lavoro dichiara:
- di possedere un’occupazione, anche se nel periodo di riferimento non ha svolto attività lavorativa (occupato dichiarato);
- di essere in una condizione diversa da occupato, ma di aver effettuato ore di lavoro nel periodo di riferimento (altra persona con attività lavorativa).
Si avete letto bene, l’istituto nazionale di statistica considera occupate anche i giovani che hanno 15 anni, inoltre quando conduce gli studi sulla disoccupazione include tutti i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni, nulla di più sbagliato!!! I giovani compresi tra i 15 e i 18 anni in quanto tali hanno il solo obbligo e impegno di studiare, solo quello devono fare e non possono essere considerati in nessun modo dei lavoratori, anche se spesso i giovani trovano dei lavoretti da fare nel weekend in nessun modo possono essere considerati dei lavoratori, sono studenti STOP.
Lo stesso dicasi per quei giovani che, dopo aver conseguito la maturità, decidono di continuare il percorso di studi iscrivendosi ad una facoltà universitaria, anche in quel caso sono sempre studenti, mentre l’ISTAT li considera delle persone da considerare disoccupate, nulla di più sbagliato, anche se lo studio non è retribuito rappresenta comunque un impegno, anche a livello giuridico uno studente viene considerato studente e non disoccupato, se un giovane 20enne provasse ad aprire un conto corrente presso una banca o ufficio postale, alla domanda “che tipo di professione svolge?” le opzioni sarebbero le seguenti:
- Dipendete
- Imprenditore/Libero Professionista
- Disoccupato
- Casalinga
- Pensionato
- Studente
perché l’Istat deve adottare dei parametri che non sono in linea con quelli giuridici? perché considera gli studenti che studiano dei disoccupati? perché come campione recluta anche ragazzi che hanno meno di 18 anni?
L’Istat dovrebbe fornire delle risposte adeguate e dovrebbe rivedere l’intero sistema statistico sui si basa, così facendo fornisce solo dei dati falsi che manipolati dai mezzi di stampa non fanno altro che spaventare l’opinione pubblica, ma facciamo qualche esempio pratico per comprendere la portata delle false statistiche che l’istituto ci propina.
Secondo l’Istat il 36% dei giovani sono disoccupati, il campione su cui si basano i dati comprende la fascia d’età 15/24, in totale sono circa 6 milioni di giovani di cui «la stragrande maggioranza è composta di studenti e il resto (circa 700 mila) sono una fetta dei famosi “Neet”, i ragazzi che non studiano né cercano lavoro», in quanto non si può considerare senza un posto chi è ancora in età scolare.
Volendo effettuare un calcolo statistico reale del numero di giovani disoccupati, la cifra che ne viene fuori è 667 mila, molto meno, e che in termini percentuali significa l’11,1% se rapportato alla popolazione giovanile.
L’Istat in qualche occasione ha giustificato la cosa affermando che «La causa principale sta nei parametri comuni di Eurostat: usiamo un criterio di rilevazione standardizzato a livello Ue», una giustificazione che non regge ed ha poco senso, l’Istat dovrebbe fornire dei dati chiari e reali, evitando di basarsi su campioni di ragazzi che sono ancora in età scolare e che per legge non possono lavorare essendo ancora minorenni.
Un ruolo fondamentale lo giocano anche i mezzi d’informazione le emittenti Tv in primis, che dovrebbero specificare e spiegare meglio i dati statistici e non preferire dei numeri ad effetto campati in aria che servono solo a fare share e creare falsi allarmismi nell’opinione pubblica.