In un momento storico dove il lavoro non si trova certo sugli alberi un’affermazione del genere:”Lavorare troppo può essere concausa di morte” può suonare davvero strano e strapparci anche una risata, spesso non ci pensiamo più di tanto ma esistono molti lavori che sono fisicamente stancanti ed in determinato casi possono anche essere una concausa di morte a dirlo è una recente sentenza della cassazione, ed in tal caso il datore di lavoro dovrà anche risarcire il lavoratore.
La sentenza emessa dalla corte di cassazione racconta un fatto che vede coinvolto un lavoratore un radiologo deceduto per una cardiopatia nel 1998, la famiglia ha presentato il ricorso che è stato accolto appunto dalla cassazione, “L’imprenditore – si legge nella sentenza – è tenuto a adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il radiologo lavorava presso l’ospedale provinciale di Enna e secondo quanto sostiene la famiglia le condizioni nelle quali era chiamato a svolgere la sua professione erano “disagiate” e di “superlavoro”, tanto da farle considerare come una concausa del decesso dalla Suprema Corte, che ha reputato anche “irrilevante che il dipendente non si sia lamentato”.
La Cassazione ha tenuto conto l’enorme numero di esami effettuati dallo staff di radiologia del il radiologo ne faceva parte, la turnazione caratterizzata da un eccesso di “pronta disponibilità” sia diurna, sia notturna.
Raccolto tutti gli elementi la cassazione ha ritenuto che “un’eventuale predisposizione costituzionale del soggetto… non possa elidere l’incidenza concausale, anche soltanto ingravescente, dei nocivi fattori esterni individuabili in un supermenage fisico e psichico, quale quello documento in atti”, passando così in giudicato la condanna al giusto indennizzo da parte dell’Azienda sanitaria provinciale.